CIRcolare 16-03
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milano 24 settembre 2003
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A UN PASSO DAL CAOS?
L'estate 2003 sarà sicuramente ricordata dagli italiani, oltre
che per la straordinaria e prolungata ondata di caldo, per il
"tormentone" della serie B di calcio, con retrocessioni e promozioni da
un campionato all'altro stabilite non sui campi di gioco ma nelle aule
dei TAR, i Tribunali Amministrativi Regionali. Meno noto al cittadino
medio, ma più pericoloso per la sua incolumità e
più devastante per il nostro settore, rischia di essere
l'intervento del TAR del Veneto, relativo all'uso dei raccordi a
pressare negli impianti a gas per uso domestico.
La sentenza, che alleghiamo, viene pronunciata a seguito di un ricorso
presentato dalla Ditta che commercializza i raccordi a pressare contro
un Comune che aveva imposto a un cittadino di mettere a norma
l'impianto gas, giudicato non conforme dai Vigili del Fuoco proprio a
causa della presenza di tali raccordi, non previsti dalla vigente
normativa tecnica. Il TAR, nell'emettere il proprio giudizio, si basa
sul presupposto che il legislatore non obbliga l'installatore ad
attenersi esclusivamente alle norme UNI e CEI, cosa che gli
garantirebbe comunque l'automatica presunzione di esecuzione dei lavori
a regola d'arte, ma gli consente di scegliere soluzioni alternative,
purché le stesse garantiscano un livello di sicurezza almeno
identico a quello delle norme UNI e CEI e, relativamente a componenti e
materiali, siano conformi a una norma emanata da un Ente normatore
europeo. La non cogenza della UNI 7129 e delle altre norme tecniche
è peraltro riconosciuta non solo dalla legge 46/90, ma anche
dalla più "vecchia" - ma sempre valida! - legge 1083/72, che a
differenza della prima ha rilevanza penale.
Il TAR esamina quindi i documenti presentati a garanzia dell'identico,
se non superiore, livello di sicurezza raggiunto con l'uso dei raccordi
a pressare, e conclude che:
- la
garanzia del livello di sicurezza è data dalla
"conformità alla regola d'arte certificata dall'installatore con
la dichiarazione rilasciata ai sensi dell'art. 9 della legge n. 46/90";
- le
giunzioni a pressare risultano "realizzate secondo la normativa emanata
dal DIN, Organismo di Normalizzazione tedesco competente a certificare
la validità di tali prodotti".
E con queste poche parole si consuma un equivoco che potrebbe avere
conseguenze gravissime!
Innanzitutto l'installatore non "certifica", bensì "dichiara" la
conformità alla regola d'arte: non a caso la legge parla
chiaramente di "dichiarazione di conformità" e non di
"certificato di conformità". Le parole sono pietre, e non vanno
usate a casaccio: "dichiarare" significa, da parte di chi ha eseguito
un lavoro, assumersi la responsabilità del proprio operato nei
confronti del committente e delle Autorità preposte alla tutela
della sicurezza nell'impiantistica domestica, fornendo una descrizione
completa e accurata del lavoro eseguito e garantendo che lo stesso
è conforme alla regola dell'arte; "certificare" è
l'azione con cui un organismo indipendente, la cui neutralità,
affidabilità e competenza è ufficialmente riconosciuta
dalla pubblica Amministrazione, attesta che un prodotto o un servizio
è conforme a una data specifica tecnica, rilasciando al
produttore o al fornitore del servizio un certificato e/o il diritto
all'uso di un marchio. Quindi l'installatore, per quanto competente e
diligente, non può "certificare" il proprio lavoro ma solo
"dichiarare" che lo stesso è stato eseguito nel rispetto della
regola dell'arte, e la dichiarazione di conformità prevede che
l'assunzione di responsabilità da parte dell'installatore venga
supportata da allegati tecnici. Ci piacerebbe vedere la dichiarazione
di conformità rilasciata dall'installatore che ha utilizzato i
raccordi a pressare: se è stata redatta correttamente e
coerentemente, nel punto in cui indica la normativa tecnica applicabile
all'impiego non possiamo certo trovare la UNI 7129 come norma di
riferimento per l'esecuzione (se l'avesse fatto avrebbe dichiarato il
falso, perché tale norma non considera tali raccordi); allora,
quale norma ha seguito? Si badi bene che qui non si parla di norma di
prodotto bensì di norma o regola tecnica di installazione: una
norma inglese, tedesca, belga, greca o che altro? E ammesso che una
tale norma sia stata indicata, l'installatore deve dimostrare che offre
(almeno) lo stesso livello di sicurezza della UNI 7129. Questo non
è un compito facile, in quanto ogni Paese ha scelto un livello
minimo di sicurezza all'interno dei propri confini in funzione di
propri criteri, e non è detto che il concetto di livello minimo
di sicurezza che vale per il governo italiano sia lo stesso individuato
dal governo svizzero o francese. Quindi la semplice dichiarazione di
conformità, anche se compilata correttamente e completamente da
un installatore abilitato non è in grado da sola di dimostrare
che la norma di installazione scelta al posto della UNI 7129 - ammesso
che esista una norma che ammette i raccordi a pressare - garantisca
all'utilizzatore lo stesso livello di sicurezza individuato dalla UNI
7129; in altre parole non costituisce quella prova certa richiesta a
chi sceglie una via diversa dalla "strada maestra" tracciata dalla
norma che automaticamente garantisce la presunzione di
conformità.
E veniamo alle norme di prodotto. In questo caso lo "svarione" del TAR
è ancora più grave. Non esiste infatti una norma DIN sui
raccordi a pressare: esiste una "regola tecnica per il gas" emessa dal
DVGW, un Ente tedesco che opera nei settori del gas e dell'acqua ed
è sì ufficialmente riconosciuto dall'Ente normatore
tedesco DIN, che lo autorizza ad emettere tali regole, ma
esclusivamente per quanto riguarda il mercato interno tedesco. Al di
fuori dei confini della Germania tali regole non hanno alcun valore;
nell'elenco degli Enti normatori di cui all'allegato II alla direttiva
98/34/CE pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità
Europee (per comodità del lettore alleghiamo l'intera direttiva,
molto importante e interessante) compare il DIN, compare l'UNI, ma non
compare il DVGW! Quindi un certificato rilasciato da tale Ente sulla
base delle regole tecniche da lui stesso emesse non ha, al di fuori
della Germania, lo stesso valore di un certificato rilasciato - dallo
stesso DVGW o da un altro laboratorio o Ente accreditato - sulla base
di norme DIN!
In definitiva, l'installatore il cui impianto ha originato la vicenda
finita davanti al TAR del Veneto ha adoperato componenti privi di una
norma di prodotto di riferimento, installandoli secondo una procedura
non normata nel nostro Paese e, presumibilmente, neppure in altri Paesi
europei. Per amor di precisione segnaliamo che dall'agosto 2003 -
quindi successivamente all'installazione che ha dato origine alla
vicenda portata all'attenzione del TAR Veneto - è disponibile
una norma italiana (UNI 11065) che stabilisce i requisiti minimi di
sicurezza di raccordi a pressare in rame e leghe di rame per acqua e
gas combustibile; ma questa norma risolve solo metà del problema
(il componente risulta conforme a una norma emanata da un Ente
normatore riconosciuto a livello europeo), lasciando irrisolta l'altra
metà (solo adesso, individuati i requisiti minimi di sicurezza
del prodotto, l'Ente normatore potrà inserire nella norma di
installazione le istruzioni per il suo impiego sicuro, individuando se
necessario limitazioni o vincoli legate a casi particolari).
Quindi il TAR del Veneto ha autorizzato l'impiego di un prodotto
pericoloso, ha rilasciato il proprio autorevole consenso
all'installazione di una "mina vagante" nelle nostre abitazioni?
C'è una piccola, piccolissima probabilità che sia
così: una probabilità vicina allo zero, ma non eguale a
zero.
La serietà del produttore dei raccordi a pressare oggetto di
questa vicenda è fuori discussione, e altrettanto vale per la
competenza tecnica del DVGW, ma la somma di questi due fattori non
equivale a quel livello minimo di sicurezza (per il committente i
lavori, ma anche per l'installatore) fornito da norma di prodotto e
norma di installazione. La prova più evidente la fornisce
proprio la stessa ditta produttrice, che soltanto dopo l'emanazione
della norma UNI 11065 ha inserito fra la documentazione disponibile sul
proprio sito internet (www.viega.it)
una "circolare informativa", che alleghiamo unitamente ai documenti
più significativi che la stessa richiama, degna di attenta
lettura e successiva "meditazione".
In essa il produttore documenta "agli operatori del settore, anche ai
fini della relativa dichiarazione di conformità, la rispondenza
del proprio prodotto alla norme tecniche italiane ed europee"
dichiarando che "la conformità del sistema Profipress G alla UNI
11065 ed al prEN 1254-7 è stata accertata dall'Istituto italiano
notificato IMQ come documentato dalle relazioni di prova nn. RCV 00493
e 00494 pubblicate all'interno della presente informativa." Ma prEN
significa progetto di norma europea, quindi un documento che non ha lo
stesso valore di una norma: in quanto progetto, può essere
ancora modificato prima della sua approvazione definitiva e
pubblicazione come EN, norma europea. E per amor del vero, andando a
leggere le relazioni di prova, notiamo che l'IMQ ha verificato la
rispondenza del prodotto al progetto di norma italiana E 12021680,
quindi a una versione non ancora definitiva della norma (e infatti le
prove risalgono all'autunno 2002): nessun dubbio che il progetto sia
diventato norma senza alcuna modifica sostanziale o redazionale -
almeno lo speriamo, altrimenti il produttore si esporrebbe a un
clamoroso autogol! - ma formalmente l'affermazione del produttore non
è corretta! E anche per quanto riguarda il documento europeo,
sempre dalla relazione IMQ notiamo che le prove sono state fatte
prendendo come riferimento un documento di lavoro di un gruppo di
esperti, che non ha ancora raggiunto lo status di progetto di norma!
Andiamo avanti con la lettura: si ricorda che "per la Legge 1083/71 e
46/90, la presunzione legale di conformità alla regola dell'arte
è espressamente riconosciuta tanto ai materiali costruiti
rispettando le norme UNI quanto a quelli realizzati secondo le norme
emanate dagli altri organismi europei di normalizzazione
riconosciuti... (omissis) ..."costituiscono
altresì riferimento di buona tecnica...le norme tecniche emanate
dagli organismi di normalizzazione di cui all'allegato II della
direttiva 98/34/CEE sia le norme tecniche mutuamente riconosciute
equivalenti negli stati contraenti lo spazio economico europeo"."
Peccato che l'allegato II alla direttiva 98/34/CE (e non CEE!) non
riporti il DVGW fra questi organismi. Non c'è dubbio che il DIN
riconosca al DVGW in Germania il diritto di omologare prodotti e
certificarli nel settore gas, considerandoli parificati ed equivalenti
ai propri emanati per prodotti relativi ad altri settori, ma
evidentemente questa pari dignità vale per il solo mercato
tedesco, non per quello europeo. Infine la circolare informativa
prosegue così: "Per quanto riguarda infine le modalità
pratiche di compilazione della dichiarazione di conformità
dell'impianto alla regola dell'arte nel caso di utilizzo del prodotto
Profipress G, si ritiene sufficiente - allegando i relativi certificati
- riportare "UNI 7129 per esecuzione;
UNI 11065 e DVGW-VP 614 per i raccordi a pressare Viega di cui alla
successiva dichiarazione ed agli allegati certificati", nel caso
appunto che l'installatore abbia seguito la norma UNI 7129 per
l'esecuzione degli impianti e abbia utilizzato quali materiali di
giunzione i raccordi Viega Profipress G.". A parte che il "si ritiene
sufficiente" sembra tradire una certa prudenza nell'affermare quanto
segue subito dopo, a parte che se c'è un certificato che attesta
la conformità del materiale alla UNI 11065 (e abbiamo visto che
formalmente non c'è, perché un progetto di norma è
una cosa, una norma è un'altra) è inutile citare il
certificato DVGW, riportare UNI 7129 non è corretto,
perché i raccordi a pressare non sono contemplati in quella
norma! Non a caso nella dichiarazione di conformità c'è
un posto (fra gli allegati obbligatori) per indicare la
conformità dei materiali utilizzati alle relative norme di
prodotto, e un posto (nella dichiarazione vera e propria) per indicare
la normativa tecnica seguita per la realizzazione dell'impianto. I due
aspetti, come abbiamo già detto, sono distinti: in teoria (e
purtroppo talvolta anche in pratica) si possono utilizzare componenti e
materiali a norma per eseguire lavori non a norma o addirittura
pericolosi.
E se qualcuno ha ancora dei dubbi, alleghiamo - per gentile concessione
di ANIM CNA - una lettera in cui si riporta un parere del CIG sulla
stessa questione, sostanzialmente concorde con quanto sopra esposto.
Quindi, tornando alla sentenza, se anche dopo l'emanazione della UNI
11065 non è formalmente corretto utilizzare i raccordi a
pressare rilasciando una dichiarazione di conformità in cui si
cita la UNI 7129, figuriamoci prima! Ci auguriamo che non solo il
Ministero dell'Interno, ma anche il Comune di Mel (che contrariamente a
quanto afferma il TAR Veneto potestà in materia ce l'ha, eccome,
anche se in questo caso ha soltanto supportato scrupolosamente e
diligentemente l'azione dei vigili del Fuoco), ricorra al Consiglio di
Stato. E fra i soggetti indirettamente toccati da questa vicenda, che
speriamo non restino inerti, ci sono l'UNI, il CIG, le associazioni
degli installatori, i progettisti, gli stessi utenti.
Il titolo di questo intervento non si giustifica sicuramente con il
solo caso dei raccordi a pressare; torniamo a ripetere che il reale
pericolo è minimo, anche se non inesistente, e riconosciamo la
serietà e la competenza del produttore; c'è chi afferma,
e con fondate ragioni, che ai fini della sicurezza contro le fughe di
gas le giunzioni dei tubi in acciaio con raccordi filettati che
utilizzano la canapa come mezzo di tenuta, ammesse dalla UNI 7129, sono
potenzialmente più pericolose dei raccordi a pressare. Il vero
problema è costituito dall'incapacità del nostro settore
di gestire queste situazioni; l'analogia con il mondo del calcio non
è casuale. I ricorsi all'Autorità Garante per la
Concorrenza e il Mercato, ai TAR o addirittura alla Corte di Giustizia
Europea (ricordate la "finestra ministeriale" di 0,4 m2 ?)
per dirimere questioni generate dall'inadeguatezza o dalla
contraddittorietà della legislazione italiana e dalla mancanza
di chiarezza nel mondo della certificazione costituiscono una soluzione
tutt'altro che ideale, non fosse che per la difficoltà di
addentrarsi in problemi squisitamente tecnici che queste istituzioni
non possono conoscere a fondo. Ricordiamoci del "caso Tucker", venuto
così clamorosamente alla ribalta e poi rapidamente scomparso,
praticamente rimosso dalla memoria collettiva; in un primo tempo
l'Antitrust aveva giudicato "non ingannevole" la sua pubblicità,
salvo martellarlo quando già la Magistratura, i giornali e la
televisione avevano scoperto i non edificanti altarini del Sig. Mirco
Eusebi: quanti epigoni del produttore di "tubi magici" potrebbero
provocare danni, non solo alle nostre tasche ma anche alle nostre vite,
avvalendosi di esperti e abili avvocati anziché di altrettanto
esperti e abili tecnici, affidandosi a cavilli, ricorsi e controricorsi
in grado di bloccare o rallentare le azioni di controllo di una
Pubblica Amministrazione farraginosa e spesso ansiosa di evitare
"grane"? Ogni volta che gli operatori, alle prese con problemi
sicuramente importanti per la propria categoria, scelgono di rivolgersi
a un garante o a un tribunale per vedere accolte le proprie ragioni,
anziché confrontarsi nelle sedi competenti - enti normatori e/o
Ministeri vigilanti - devono mettere in conto che la risposta potrebbe
sconvolgere il loro mondo, e quello dei loro clienti, molto più
rudemente di quanto essi stessi si attendono.
Il tragico è che l'opinione pubblica ha seguito con ansiosa
partecipazione le traversie del mondo del calcio, mentre questi
problemi che la riguardano molto più da vicino non giungono
nemmeno alle sue orecchie; eppure la sicurezza dei propri cari dovrebbe
far discutere molto più dell'ingiusto ripescaggio della
Fiorentina o della Salernitana, la possibilità di perdere la
propria casa e propri bene dovrebbe tenere svegli più delle
false fideiussioni di Napoli e Roma. Strano Paese, il nostro!
Allegati:
all.1 Tribunale Amministrativo
Regionale per il Veneto, sezione terza, Sent. n.4041/03 del 9 luglio
2003 sul ricorso n. 2041/02 di VIEGA ITALIA S.R.L.
all.2 Direttiva 98/34/CE del
Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 giugno 1998
all.3 Viega - Circolare
informativa raccordi a pressare Profipress G
all.4 lettera ANIM CNA:
parere CIG